La ragazza scrive: chi prova amore non teme la morte. Una serie di contributi esalta la sua affermazione creando una specie di rumore che vorrebbe dire tutto il bello della bellezza che è, ma non dice nulla.
Io temo la morte quindi non provo amore.
Alle 4,53 raggiungo un punto di veglia panica: mi rendo conto che non saprai di me le cose semplici, il bene. Mi rattristo del pensiero senza accertarmi della sua verità. Mi attengo ai fatti. Capisco che fermarsi è abbandonare le parole.
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6 km. La prima passeggiata senza Zèfiro è un contenitore di verde, blu, spazio, e una forma di attenzione che produco senza che ci sia un destinatario a beneficiarne. Un uomo cammina scalzo lontano dalla riva. La tramontana schiaccia il mare e le onde si allungano in forma orizzontale costringendomi a misurare continuamente il passo. I pescatori osservano guardinghi le canne piantate nella sabbia. I secchi accanto alle sedioline sono vuoti. È il primo giorno di scaduta, ma è troppo presto e i pesci non si fidano. La fiducia sembra essere una grana anche sott’acqua.
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Il bicchiere è caduto nel lavello frantumandosi in pochi pezzi. Faccio scorrere l’acqua per mandare via il sapone e controllo le mani. Ispeziono attentamente le dita e anche i polsi. Solo dopo alcuni minuti mi accorgo che sul fondo dell’altro bicchiere si è formato un nodo, probabilmente il punto in cui è collassato il vetro, che assomiglia a una piccola rosa. Ci passo il dito e sento il rilievo dei petali. La crepa è solo all’esterno. Continuo a toccarla anche a distanza di ore. Ogni volta che prendo in mano il bicchiere il dito strofina delicatamente il nodo. La crepa è solo all’esterno, mi ripeto, e il cuore trova conforto.